sabato 14 marzo 2020

“Sì ma dai è anziano”



Siamo tutti un po’ più fragili oggi, non solo i nonni e le nonne di 80 anni, anche i giovani di venti e gli adulti di 40 possono e debbono sentire sulle spalle una fragilità che deve fare da molla per arrivare a nuove forme di solidità, di sicurezza, di forza.
FABRIZIO BINACCHI | 8 MARZO 2020
Questa buriana sanitaria e sociale, che speriamo finisca il prima possibile, ha messo in luce alcuni comportamenti singolari tipo le resse ai supermercati e la caccia a gel-mascherine e ha indotto molti ad usare espressioni verbali perlomeno sbrigative, in qualche caso auto confortanti o assolutorie e comunque sgradevoli,  che si possono riassumere nella frase simbolo “Sì, ma dai, era anziano”. Ovviamente censurabile.   
E in molti casi si aggiungeva l’espressione “con  patologie pregresse” o in altri casi “con una situazione di salute compromessa”.  C’è di che riflettere. Bisogna ragionare.
C’è un linguaggio tecnico scientifico per cui i sanitari e i virologi possono ricorrere comprensibilmente ad espressioni appunto tecniche sulle patologie e sull’età  biologica e poi c’è un linguaggio corrente, quello della gente che si parla per scambiarsi informazioni ed emozioni che giustamente,  con una riflessione un po’ più approfondita, rigetta certi stereotipi, certi luoghi comuni, sociali ed umani. 
Un anziano o una anziana morti con il coronavirus  (e non per il virus) sono il nonno e la nonna, il papà e la mamma, lo zio e la zia di persone e rimangono loro stessi sempre persone, anche nell’emergenza sanitaria.  Non un codice, non un protocollo, non un numero.  
“Mio papà era mio papà”. Così ha ricordato, in una toccante e commovente intervista, la figlia della prima vittima del padovano ormai due settimane fa e sembra quasi un anno. “Mio papà era una persona meravigliosa e non solo un numero, non può essere ricordato come un numero. Mio papà sorrideva, giocava a carte, andava al bar e faceva tutto quello che fanno i nonni di quell’età.
Guardano crescere i figli, commentano il cantiere di lavoro in fondo alla piazza, aiutano gli amici e i bisognosi, poi un bel o meglio un brutto giorno arriva un virus, chissà da dove, che prende di mira quei polmoni e magari aggrava una condizione di salute non ottimale, già minata.  
E così molti di noi, per un po’ di giorni, pur con il nobile scopo di rassicurare, abbiamo fatto ricorso alla espressione “si ma  era anziano” per giustificare una morte nel tempo del coronavirus. Scoperto che non era bello e non era rispettoso per i nonni e nemmeno per i nipoti si è preferito ricorrere alla più innocua e asettica, almeno anagraficamente, espressione di “fragile”. 
C’è da apprezzare lo sforzo. Sociologi e antropologi, analisti economici e anche bravi colleghi di conosciuta firma hanno scritto pezzi e racconti sulla fragilità e sul rispetto della fragilità.  Gli anziani nelle case di riposo, i nonni che vanno al cup con la mascherina, le nonne che si proteggono con la sciarpa mentre entrani in una bottega sono sicuramente espressione di una fragilità manifesta. 
Ma è anche vero che è difficile trovare immagini di solidità in giro in questo momento. La nostra stessa vita sociale quella così bella e così colorata degli aperitivi e delle cene, degli stadi piani e delle manifestazioni di piazza, quella dei congressi e delle feste è stata ed è tuttora messa alla giusta prova del contenimento necessario, del distanziamento obbligatorio di almeno un metro, della sospensione di attività che contemplavano aggregazioni di tante persone.
Per questo siamo tutti un po’ più fragili oggi, non solo i nonni e le nonne di 80 anni, anche i giovani di venti e gli adulti di 40 possono e debbono sentire sulle spalle una fragilità che deve fare da molla per arrivare a nuove forme di solidità, di sicurezza, di forza.
Ogni crisi, anche quella sanitaria più dura, contiene in sé un duplice significato: quello indubbio e della difficoltà e del dolore, della paura e della prova ma anche quello della opportunità. Opportunità per cambiare qualcosa, per rilanciare un aspetto di vita che si pensava inesistente o non importante, opportunità per stabilire nuovi comportamenti, nuovi atteggiamenti, nuovi orizzonti.
Nel concreto si pensi agli aspetti del telelavoro e degli spostamenti nel traffico più o meno costretti: per anni contemplavamo l’arrivo dell’epoca in cui si spostassero le idee e non le persone e nella sua drammaticità questa emergenza ce lo sta imponendo. Con le tecnologie più adeguate, al momento.  La grande forza spesso nasce dalla fragilità. Grazie ai nonni e alle nonne. Che forse, nella loro fragilità, sono più forti degli altri.
Fabrizio Binacchi 

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