Pensioni in Italia adeguate ma
nel futuro a rischio povertà per giovani e donne, imponendo a imprese e
dipendenti il livello contributivo più elevato: report OCSE.

Il livello delle
prestazioni per gli attuali pensionati assicura un reddito
superiore del 95% rispetto a quello della media nazionale, un livello fra i più
alti della classifica internazionale, guidata da Lussemburgo, Francia e Grecia.
Redditi da pensione più alti che in Italia (sempre in termini di percentuale rispetto alla media), anche in Israele, mentre Spagna, Portogallo e Messico sono allo stesso livello. Il problema è che il rischio povertà si è trasferito nel tempo dagli anziani ai giovani: circa il 15% delle persone fra i 18 e i 25 anni sono povere, contro il 9% degli ultra65eeni.
Redditi da pensione più alti che in Italia (sempre in termini di percentuale rispetto alla media), anche in Israele, mentre Spagna, Portogallo e Messico sono allo stesso livello. Il problema è che il rischio povertà si è trasferito nel tempo dagli anziani ai giovani: circa il 15% delle persone fra i 18 e i 25 anni sono povere, contro il 9% degli ultra65eeni.
Circa un quarto dei
giovani fra i 16 e i 29 anni non studiano e non lavorano (i cosiddetti
Neet). Complice la crisi degli ultimi anni, c’è anche un problema legato
al crescente numero di lavoratori che si sono confrontati con periodi di disoccupazione, lavoro part-time o precario,
con una conseguente interruzione del pagamento dei contributi, e questo avrà un
effetto negativo sulle prestazioni future.
«L’effetto di interruzioni di carriera o
di ritardi nell’entrata del mercato del lavoro potrebbe essere più elevato in
Italia che nei paesi OCSE» si legge nel report, anche perché «nonostante la
presenza di alcuni meccanismi che permettono di ridurre in parte l’effetto di
carriere interrotte (come l’aumento dei coefficienti di trasformazione per le
donne con figli e i contributi versati durante i periodi di disoccupazione), in
Italia mancano degli ammortizzatori efficaci che proteggano la pensione
dall’effetto di interruzione di carriera».
Le interruzioni
di carriera riguardano in particolare le donne: il 12% delle
donne fra i 25 e i 49 anni, contro una percentuale pari all’1% fra gli uomini
della stessa età. Altri dari relativi alla questione femminile: le donne
cominciano il lavoro retribuito più di due anni più tardi rispetto agli uomini,
i tassi di occupazione delle madri sono bassi, molte donne lavorano part-time.
Sono tutti elementi che rischiano di «danneggiare l’adeguatezza dei redditi
pensionistici del futuro».
Il report presenta una
serie di dati emblematici relativi all’impatto delle interruzioni di carriera
sulla pensione futura: dopo cinque anni senza lavoro, l’Italia
registra una delle maggiori riduzioni della pensione futura (insieme a
Germania, Israele, Islanda, Messico e Portogallo), mentre in un terzo dei paesi
OCSE le pensioni non subiscono alcuna riduzione in queste circostanze. Per un
lavoratore italiano a basso reddito, l’interruzione di cinque anni dal lavoro
sarà del 10%, contro il 3% di media OCSE.
Fra i consigli
all’Italia, quello di promuovere carriere complete e di
maggior durata, concedendo la necessaria flessibilità in
termini di conciliazione famiglia-lavoro, oltre a una maggior informazione su
contributi versati e pensione futura (la famosa busta arancione), e sulle
possibilità di previdenza complementare
FONTE PMI
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