Dal 28 dicembre via al pagamento anticipato delle
pensioni di gennaio 2021. ”Ieri sera ho firmato una nuova ordinanza per il
pagamento anticipato delle pensioni di gennaio a dicembre”, ha detto il capo
della Protezione civile, Angelo Borrelli, intervistato dall’ex
ministro Antonio Guidi a Radio Radio.
Nell’ordinanza si legge che “allo scopo di consentire a Poste
Italiane S.p.A. la gestione dell’accesso ai propri sportelli dei titolari del
diritto alla riscossione delle predette prestazioni, in modalità compatibili
con le disposizioni in vigore adottate allo scopo di contenere e gestire
l’emergenza epidemiologica da COVID-19, salvaguardando i diritti dei titolari
delle prestazioni medesime, il pagamento dei trattamenti pensionistici, degli
assegni, delle pensioni e delle indennità di accompagnamento erogate agli
invalidi civili, di cui all’articolo 1, comma 302, della legge 23 dicembre
2014, n. 190 e successive integrazioni e modificazioni, di competenza del mese
di gennaio 2021, è anticipato dal 28 dicembre 2020 al 2 gennaio 2021; di
competenza del mese di febbraio 2021, è anticipato dal 25 gennaio 2021 al 30
gennaio 2021”.
Dunque per la pensione di gennaio 2021 il periodo va dal
28 dicembre al 2 gennaio.
Per la pensione di febbraio 2021 il periodo va dal 25
al 30 gennaio.
“Resta fermo che, ad ogni altro effetto, il diritto al rateo
mensile delle sopra citate prestazioni si perfeziona comunque il primo giorno
del mese di competenza dello stesso” è scritto nell’ordinanza.
L'Istituto di previdenza sta
inviando una comunicazione ai contribuenti nella quale si richiede una nuova
Certificazione Unica
Dichiarazione dei redditi
tutta da rifare. Lo dice l’Inps che ha mandato una comunicazione con la quale
viene inoltrata una nuova “Certificazione Unica 2020” che viene spiegato
nella nota “annulla e sostituisce quella precedente” in quanto “le
somme certificate non corrispondono a quelle effettivamente erogate o
trattenute nel 2019”.
Pensionati, dichiarazione
dei redditi da rifare: cosa dice la lettera
“Ci scusiamo per l’eventuale
disagio arrecato ma ciò le permetterà di presentare la dichiarazione dei
redditi sulla base di una Certificazione Unica corretta” si legge nella lettera
inviata dall’Istituto di previdenza.
Non è specificato quale sia
stata la causa di questa correzione. Nella nota l’Inps si limita a informare
che la “rettifica si è resa necessaria per integrare, sostituire o
correggere i dati della precedente Certificazione Unica, nella quale le
somme certificate non corrispondevano a quelle effettivamente erogate o
trattenute dall’Inps nel 2019″. Potrebbe trattarsi di modifiche che riguardano
o il reddito o le ritenute.
L’ipotesi è che si sia
trattato di un errore, non umano ma di programmazione, essendo l’Inps altamente
informatizzato. Di conseguenza questo potrebbe significare il coinvolgimento di
una grande fetta di contribuenti.
Pensionati, dichiarazione
dei redditi da rifare: chi riguarda
Non sarebbe ancora noto il
numero di coloro che hanno già avuto o riceveranno la comunicazione nei
prossimi giorni. È stato stimato che la platea dei potenziali cittadini
interessati potrebbe comprendere circa 19 milioni di italiani, tra
15,5 milioni di pensionati e
percettori di altre prestazioni, incluse le 3,5 milioni di persone in cassa
integrazione o con indennità di disoccupazione.
Non sarebbero esclusi coloro
che hanno utilizzato la dichiarazione dei redditi precompilata:
“Qualora intenda avvalersi della dichiarazione precompilata fornita
dall’Agenzia delle Entrate, dovrà, ove necessario, modificarne il contenuto
sulla base della Certificazione Unica rettificata” si legge ancora nella
lettera.
Per il contribuente
destinatario della nuova CU/2020 non ci sarebbero altre possibilità se non
quella di presentare nuovamente la dichiarazione dei redditi e dovrebbe farlo
con il “ravvedimento” per evitare il rischio di trovarsi in accertamento
fiscale, vista la già avvenuta scadenza dei termini.
In allarme professionisti,
consulenti, patronati e Caf, che si stanno preoccupando di rispondere agli
interrogativi dei cittadini e di trovare il soluzioni per scongiurare loro
future contestazioni del Fisco.
Spostamenti: zone gialle e
arancioni a confronto con FAQ e casi particolari, promozioni in vista per
Lombardia e Piemonte, paletti Covid dal 21 dicembre.
3 Dicembre 2020Le
restrizioni che si applicano nelle zone arancioni e non in quelle gialle sono
gli spostamenti fra Regioni e Comuni diversi e l’apertura
limitata fino alle 18 di bar e ristoranti. Dal fine settimana, comunque,
diverse Regioni oggi arancioni dovrebbero comunque essere promosse in
zona gialla, che presenta un minor grado di rischio contagio da Coronavirus e di
conseguenza maggiori libertà di spostamento: fra le altre Lombardia e Piemonte,
ma non si esclude vengano promosse anche Toscana e Campania.
Vediamo uno schema
sulle regole in base al rischio Covid, comprensivo anche delle speciali
misure di Natale, che si applicheranno dal 21 dicembre al 6 gennaio,
anche alla luce delle nuove FAQ del Governo con le
risposte utili sugli spostamenti consentiti nelle diverse aree, ed un
apprendice relativa alle regole ad hoc per i giorni di festività.
Nelle zone gialle,
dalle 5 alle 22 ci si può spostare senza bisogno di autocertificazione. Per
uscire durante il coprifuoco bisogna dimostrare che lo spostamento rientri tra
quelli consentiti (comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o
motivi di salute), anche mediante autodichiarazione resa su
moduli prestampati in dotazione alle forze di polizia. La veridicità delle
autodichiarazioni sarà oggetto di controlli successivi e l’accertata falsità di
quanto dichiarato costituisce reato. Gli spostamenti diurni sono consentiti
anche fra Comuni e Regioni diverse.
Possibile far visita a parenti, congiunti
e amici? Non c’è divieto ma è «fortemente raccomandato non ricevere persone
diverse dai conviventi, salvo che per esigenze lavorative o situazioni di
necessità e urgenza».
Nell’orario del
coprifuoco, si possono assistere un parente o amico non
autosufficienti? Sì, è una condizione di necessità e quindi non sono
previsti limiti orari.
Sono sempre consentiti anche
gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso
l’altro genitore o l’affidatario, oppure per condurli presso di sé.
Attuali zone gialle:
Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise,
Provincia autonoma di Trento, Puglia, Sardegna, Sicilia, Umbria, Veneto. Dal 13
dicembre potrebbero diventare gialle anche Lombardia, Piemonte,
Toscana, Campania. Che, al momento, sono arancioni, insieme a Basilicata,
Calabria, Provincia Autonoma di Bolzano, Valle d’Aosta. Resta in area rossa
solo l’Abruzzo (un’ordinanza locale applica i regolamenti della zona arancione
ma il Governo ne ha annunciato l’impugnazione).
Spostamenti in zona
arancione
Nelle zone arancioni gli
spostamenti sono liberi dalle 5 alle 22 ma solo all’interno del proprio Comune.
E’ comunque vietato spostarsi fra Regioni e fra Comuni diversi. Sono consentiti
eventuali spostamenti in un Comune diverso per svolgere attività o usufruire di
servizi non disponibili nel proprio (ufficio postale, spesa…). Spostamenti
liberi solo se strettamente necessari ad assicurare la didattica in presenza,
se prevista. Dalle 22 alle 5, oppure fuori dal Comune, serve l’autocertificazione
su:
comprovate esigenze
lavorative: bisogna dimostrare che si sta andando (o tornando) al
(dal) lavoro, anche tramite l’autodichiarazione. In caso di controllo, si dovrà
dichiarare la propria necessità lavorativa;
situazioni di necessità: assistere
parenti o amici non autosufficienti, recarsi dai figli, portare fuori il cane
(ma niente passeggiata o attività motoria);
motivi di salute.
Importante: anche nelle zone
arancioni, è possibile in alcuni casi uscire dal proprio comune per fare
compere. «Fare la spesa rientra sempre fra le cause giustificative degli
spostamenti», spiegano le FAQ del Governo. Laddove il proprio Comune non
disponga di punti vendita o un Comune contiguo presenti una
disponibilità, anche in termini di maggiore convenienza economica,
di punti vendita necessari alle proprie esigenze, lo spostamento è consentito,
entro tali limiti, che dovranno essere autocertificati.
Regole di Natale
Ci sono regole diverse che
bisognerà seguire, in tutta Italia, anche nelle zone gialle, dal 21
dicembre al 6 gennaio. Sono restrizioni specifiche previste per il periodo
delle festività natalizie. Eccole, in base al dl 158/2020:
spostamento fra regioni o
province autonome: vietati dal 21 dicembre al 6 gennaio;
spostamento tra comuni:
vietati nelle giornate del 25 e del 26 dicembre 2020 e del primo gennaio 2021.
E’ sempre consentito,
in ogni caso, anche in orari vietati o in zone o periodi con particolari
paletti, rientrare nella propria abitazione, domicilio o residenza (sempre
con esclusione delle seconde case utilizzate per le vacanze).
Le persone che per motivi di
lavoro vivono in un luogo diverso da quello del proprio coniuge o partner, ma
che si riuniscono ad esso con regolare frequenza e periodicità nella stessa
abitazione, potranno spostarsi per ricongiungersi per il periodo dal 21
dicembre 2020 al 6 gennaio 2021 nella stessa abitazione in cui sono soliti
ritrovarsi.
N.B. Il
luogo scelto per il ricongiungimento deve coincidere con quello in cui si ha la
residenza, il domicilio o l’abitazione (escluse seconde case utilizzate per le
vacanze).
Attenzione: le FAQ del
Governo chiariscono che si potrà rientrare comunque, per la prima volta, dopo
un periodo trascorso per esempio in un altro Comune, ma una volta tornati a
casa vanno rispettati gli orari del coprifuoco. Stesso discorso, per esempio,
per il ricongiungimento di coppie che sono lontane per motivi
di lavoro ma che convivono con una certa frequenza nella medesima abitazione.
Gli spostamenti per
fare visita o per andare a vivere per qualche giorno con
parenti o amici, inclusi i propri genitori (anche se anziani ma
in buona salute) saranno possibili solo in area gialla, esclusivamente fino al
20 dicembre e dal 7 gennaio 2021. Diversamente:
lo spostamento per dare
assistenza a persone non autosufficienti sarà consentito anche
dal 21 al 6 gennaio, anche tra comuni/regioni in aree diverse, ove non sia
possibile assicurare loro la necessaria assistenza tramite altri soggetti
presenti nello stesso comune/regione.
N.B. La
necessità di prestare assistenza non può giustificare lo spostamento di più
di un solo parente adulto.
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Già,
l'autore. Il suo nome è Marc Bonnet, grafico e illustratore. Stando alla minuziosa ricostruzione fatta da Frédéric Cèpéde
nel 1996 sulla rivista storica francese Vingtième Siècle, il disegno - che sarebbe stato
conosciuto con l'espressione le poing à la rose, o anche la
rose au poing e, in seguito, le poing et la rose -
vide la luce alla fine del 1969, su richiesta di un militante socialista
francese, Yann Berriet, e fu adottato l'anno dopo in una campagna di affissioni
del "nuovo" Partito socialista, a seguito di un periodo di grande
difficoltà delle forze politiche di quell'area. Fu solo dopo il profondo
rinnovamento seguito al congresso di Épinay (11-13 giugno 1971), quello
dal quale François Mitterrand uscì eletto segretario, che
quell'emblema divenne sempre di più parte della comunicazione del Parti
socialiste, fino a essere adottato come suo simbolo ufficiale.
Negli anni
seguenti, i socialisti apparvero assai più in salute, al punto che Mitterrand
sfiorò la vittoria alle presidenziali nel 1974: con lui crebbe anche la
notorietà del simbolo, al punto tale che proprio nel 1974 Marc Bonnet scelse di
depositarlo come titolo di proprietà industriale e come segno di partito
politico e l'anno dopo - il 22 maggio 1975 - ricevette 50mila franchi dal
Partito socialista francese in cambio della cessione dei diritti di riproduzione
della grafica "le poing à la rose". In particolare, il partito
francese avrebbe avuto il diritto esclusivo, per tutto il mondo, a riprodurre
con tutti i mezzi, in bianco e nero e a colori, ma l'autore - che rinunciava
espressamente a ogni pretesa o azione contro i socialisti di Mitterrand per
l'uso fatto in precedenza del segno - avrebbe conservato tutti i suoi diritti
"con riguardo a tutti gli altri partiti socialisti stranieri o ogni altro
partito che dovrà ottenere il suo preventivo assenso formale in caso di
utilizzo del disegno", né il Psf avrebbe potuto cedere l'emblema ad altri
partiti (esclusi quelli che avesse contribuito a fondare o cui si fosse
associato).
Il simbolo
della rosa nel pugno, che per una delle pubblicazioni dei socialisti francesi
relativa alla loro comunicazione politica incarnava "la forza e la
dolcezza, il mondo del lavoro e la qualità della vita, il dinamismo e
l'innovazione, la risoluzione alla lotta e la volontà di cambiare la vita, le
preoccupazioni quantitative e qualitative" era però già arrivato in Italia
due anni prima rispetto all'accordo tra Bonnet e il Psf del 1975. Con tratti
molto simili, infatti, era apparso accanto alla testata di Liberazione,
prima quotidiano poi bisettimanale che fu pubblicato dall'8 settembre 1973
al 28 marzo 1974: la grafica della rosa - molto simile a quella francese, con
la corolla senza gli spessi tratti neri di contorno e piccole modifiche anche
alle foglie e al pugno - e dell'intera pubblicazione fu curata da Piergiorgio
Maoloni, maestro imprescindibile di grafica (editoriale e non solo: in quel
periodo era una delle figure fondamentali al Messaggero).
"Quando cessarono le pubblicazioni - ricorda
Vincenzo Zeno-Zencovich, oggi ordinario di diritto comparato all'università di
Roma Tre e allora tra i quattro redattori di Liberazione -si
decise di trasferire il logo dalla testata al partito." In effetti, già la
tessera del 1974 del Partito radicale conteneva una reinterpretazione
della rose au poing, sia pure con tratti molto più fini e delicati:
per quel che se ne sa, anche in quell'occasione la grafica fu opera di Maoloni.
Nel frattempo doveva già esserci stato il famoso incontro tra Marco
Pannella e Mitterrand, cui era presente anche il socialista Giacomo
Mancini: in quell'occasione a entrambi fu offerta dal futuro presidente
francese la possibilità di adottare la rosa nel pugno come simbolo, ma il Psi
non era ancora disposto a rinunciare alla falce e al martello (li avrebbe
ridotti, non senza polemiche, solo alla fine degli anni '70 per fare posto al
garofano di Ettore Vitale, fino a toglierli con la nuova grafica di Filippo
Panseca), così la rosa stretta nel pugno fu politicamente affidata ai radicali.
Il Prof. Luca Gori della
Scuola Superiore San'Anna di Pisa ci spiega queste e altre importanti novità
per gli enti del terzo settore nella nota esplicativa di
seguito:
1. Proroga
del termine per l’adeguamento dello statuto al Codice del Terzo settore
L’art. 35, commi 1 e 2,
del decreto-legge Cura Italia proroga il termine per l’adeguamento degli
statuti delle organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione
sociale e Onlus con la modalità semplificata dal 30 giugno 2020 al 31 ottobre
2020. Si ricorda che la modalità semplificata consente di modificare gli
statuti in adeguamento alle norme inderogabili del Codice del Terzo settore con
le modalità previste per l’assemblea ordinaria (anziché straordinaria).
È prorogato al 31 ottobre 2020 anche il termine per l’adeguamento dello statuto
delle imprese sociali.
2. Proroga del termine per l’approvazione dei bilanci
L’art. 35, comma 3, del
decreto-legge Cura Italia prevede che, per l’anno 2020, le organizzazioni di
volontariato, le associazioni di promozione sociale e le Onlus per le quali la
scadenza del termine di approvazione dei bilanci ricade all’interno del periodo
emergenziale (31 gennaio 2020 – 31 luglio 2020, salvo proroghe), possono
approvare i propri bilanci entro il 31 ottobre 2020, anche in deroga alle eventuali
previsioni di leggi statali o regionali, regolamenti o dello statuto
Questa possibilità è stata
estesa dalla legge di conversione, a tutte le associazioni, fondazioni,
comitati ed enti non commerciali.
3. Modalità
di riunione degli organi sociali di associazioni e fondazioni
L’art. 73 c. 4 del decreto-legge Cura Italia ammette la possibilità per le
associazioni private, sia riconosciute sia non riconosciute, e per le
fondazioni, che non abbiano regolamentato e determinato nei rispettivi statuti
modalità di svolgimento delle sedute in videoconferenza, che i propri organi si
possano riunire proprio con tali modalità, nel rispetto di criteri di
trasparenza e tracciabilità previamente fissati, purché siano individuati
sistemi che consentano di identificare con certezza i partecipanti nonché
adeguata pubblicità delle sedute, ove previsto, secondo le modalità individuate
da ciascun ente.
Questa possibilità è ammessa per il periodo emergenziale (31 gennaio 2020 – 31
luglio 2020, salvo proroghe).
Per effetto dell’estensione
prevista dall’art.106, c.8-bis del decreto legge n. 18 del 2020 alla
normativa sulle società, gli enti non profit non in possesso della qualifica di
ODV, APS ed ONLUS hanno comunque la facoltà di utilizzare nelle assemblee (sia
ordinarie che straordinarie) tenute in forma telematica, anche qualora non
siano previste nello statuto, gli strumenti più ampi rispetto a quelli previsti
dall’art.73, c.4 del decreto-legge (che si applica anche ad ODV, APS ed ONLUS),
quali il voto elettronico o per corrispondenza, oppure il voto tramite
consultazione scritta o per consenso espresso per iscritto. Tale possibilità è
consentita entro il 31 luglio.
In linea generale, pare necessaria una precisazione. Sulla base del DPCM 26
aprile 2020, le riunioni degli organi sociali continuano ad essere vietate e,
quindi, l’art. 73, c. 4 costituisce una possibilità e non un obbligo. Pertanto,
qualora l’ente ritenga di non disporre di competenze, conoscenze,
strumentazioni in grado di poter gestire la riunione telematica, è ammissibile
che le altre delibere di competenza degli organi da adottare in questo periodo,
le riunioni possono essere rinviate per causa di forza maggiore sulla base
dell’ordine dell’autorità (nazionali o regionali) fino a data da destinarsi.
4. Erogazioni
liberali finalizzate a finanziare gli interventi in materia di contenimento e
gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19
L’art. 66 del
decreto-legge Cura Italia prevede una disposizione ad hoc per le erogazioni
liberali in denaro o natura finalizzate a finanziare gli interventi in materia
di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Si tratta
di una misura che si aggiunge – e non sostituisce – quelle già previste per le
erogazioni liberali a favore degli ETS dal Codice del Terzo settore.
Per le erogazioni
liberali, effettuate dalle persone fisiche e dagli enti non commerciali, in
favore dello Stato, delle regioni, degli enti locali territoriali, di enti o
istituzioni pubbliche, di fondazioni e associazioni legalmente riconosciute
senza scopo di lucro, nonché di enti religiosi civilmente riconosciuti, spetta
una detrazione dall’imposta lorda ai fini dell’imposta sul reddito pari al 30%,
per un importo non superiore a 30.000 euro.
Per le erogazioni
liberali effettuate dai soggetti titolari di reddito d’impresa, si applica
l’articolo 27 della legge 13 maggio 1999, n.133, che prevede la deducibilità
dal reddito d'impresa ai fini delle relative imposte delle erogazioni liberali
in denaro effettuate - nel caso di interesse – per il contenimento e la
gestione dell’emergenza epidemiologica, per il tramite di fondazioni, di
associazioni, di comitati, nonché di enti religiosi civilmente riconosciuti.
Ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive, le erogazioni
liberali sono altresì deducibili nell’esercizio in cui avviene il versamento.
Per le erogazioni in
natura, la valorizzazione è effettuata ai sensi di quanto previsto dagli
articoli 3 e 4 del D.M. 28 novembre 2019, che ha attuato quanto previsto dal
Codice del Terzo settore.
5. Abrogazione
della deroga all’incompatibilità fra lo status di volontario e lo status di
lavoratore.
Il decreto-legge 9 marzo
2020, n. 14 (Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario
nazionale in relazione all'emergenza COVID-19) ha introdotto, all’art. 6, una
rilevante novità in tema di volontariato. La disposizione afferma che «per
fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, per il periodo della
durata emergenziale, come stabilito dalla delibera del Consiglio dei ministri
del 31 gennaio 2020, non si applica il regime di incompatibilità di cui
all'articolo 17, comma 5, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117».
L’art. 17, comma 5 è la norma del Codice del Terzo settore che sancisce
l’incompatibilità assoluta fra la qualità di volontario e «qualsiasi forma di
rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro
retribuito con l'ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il
quale svolge la propria attività volontaria». Pertanto, fino al termine
dell’emergenza (attualmente prevista al 31 luglio 2020, salvo proroghe) sarà
possibile per gli enti del Terzo settore stipulare contratti di lavoro con i
propri volontari (che mantengono la qualifica di volontari) o, per altro verso,
che lavoratori svolgano attività di volontariato nell’ente presso il quale
lavorano.
Questa disposizione è stata
abrogata, ma è stata riprodotta nell’art. 2-septies della legge n. 27 del 2020
e, pertanto, rimane in vigore.
A chi spetta l’importo
aggiuntivo a Dicembre 2020?
In arrivo il bonus
Inps sulla pensione, ossia un importo aggiuntivo di 154,94 euro, ai sensi
dell’articolo 70 della legge n. 388/2000 nella rata di dicembre 2020, per i
pensionati che non superano determinati limiti reddituali.
In particolare il comma 9
dell’articolo 70, della legge n. 388 del 23 dicembre del 2000, ha previsto un
importo aggiuntivo sulla pensione di dicembre, erogato in automatico, in base a
determinate condizioni reddituali.
Requisiti Inps per 154,94
euro sulla pensione
A chi spetta l’importo
aggiuntivo INPS di 154,94 euro, sulla pensione di Dicembre 2020? Il bonus
tredicesima sulla pensione è riconosciuto ai:
soli soggetti titolari di pensione delle
gestioni private;
agli iscritti alla gestione ex Enpals.
Questo importo è
riconosciuto provvisoriamente sulle pensioni di dicembre 2020, sino a quando
l’Inps verificherà i redditi 2020 del pensionato.
Non possono ricevere il
bonus Inps di 154,94 euro:
le pensioni di invalidità civile,
gli assegni sociali,
le pensioni sociali,
le pensioni supplementari,
gli indennizzi dei commercianti,
le pensioni e gli assegni degli enti
creditizi e dei dirigenti d’azienda,
le pensioni internazionali non tassate
in Italia.
Quali sono i limiti di
reddito?
Per aver diritto al bonus di
154,94 nell’anno 2020, i pensionati devono rispettare alcuni limiti reddituali.
Spetta l’intero importo di
154,94 euro, se non si supera un reddito complessivo individuale, di tutti i
trattamenti pensionistici, pari ad euro 6.695,91,
compreso maggiorazioni sociali e gli incrementi al trattamento minimo.
Invece, se non si percepisce
un reddito di 6.695,91 euro, si avrà diritto ad un importo
aggiuntivo, pari alla differenza, tra il limite di reddito massimo di 6.850,85 ed
il reddito effettivamente percepito. Ad esempio, se un pensionato ha una
pensione complessiva di 6.700,00 euro, avrà diritto ad un bonus di 150,85 euro
(6850,85 limite reddituali – 6700 reddito effettivo).
Inoltre non bisogna superare
alcuni redditi imponibili Irpef che saranno indicati sul modello 730 o ex
Unico. Se il pensionato è:
solo, non deve
superare un reddito imponibile irpef di euro 10043,87, compreso
tutte le sue pensioni,
coniugato,
il reddito imponibile irpef con tutti i trattamenti pensionistici, non
deve essere superiore ad euro 20087,73.
Sono compresi nel calcolo
dei redditi assoggettabili ad irpef, il tfr e gli arretrati soggetti a
tassazione separata. Sono esclusi il reddito della casa di abitazione
principale e le pertinenze dell’abitazione principale.
Come richiedere 155 euro a
Dicembre 2020?
Per avere diritto al bonus
Inps di 155 euro sulla pensione di Dicembre 2020, non bisogna fare nessuna
domanda, l’importo avverrà accredito automaticamente. Inoltre sull’importo
erogato, non si pagano le imposte irpef e non si versano nessun contributo
previdenziale ed assistenziale. Per controllare l’erogazione dell’importo
bisogna recarsi sul servizio online Inps: Cedolino di pensione e servizi collegati. In seguito
bisogna cliccare su Verifica Bonus Quattordicesima e bonus legge 388/2000.
Bonus
pensione importo aggiuntivo a Dicembre 2020
Nel riquadro Bonus importo
aggiuntivo 154,94 nel mese di Novembre 2020, ci dovrebbe essere anche l’anno
2020.
Bonus
importo aggiuntivo 154,94 euro
Se il pensionato si accorge
di aver diritto all’importo aggiuntivo sulla pensione e di non aver ricevuto
nulla sul cedolino di Dicembre 2020, dovrà procedere ad inviare una domanda
telematica (o tramite il patronato) denominata: ricostituzione di pensione, indicando nelle note il comma 9
dell’articolo 70, della legge n. 388 del 23 dicembre del 2000.
Cosa
succede se prelevi molti soldi allo sportello della banca e te li fai
consegnare in contanti? Quali controlli possono fare la banca e l’Agenzia delle
Entrate sull’utilizzo del denaro?
Dopo aver
letto la nostra guida sul limite
versamenti contanti su conto corrente sai bene ora che depositare
denaro contante in banca può essere molto rischioso nonostante non esista alcun
limite imposto dalla normativa sull’antiriciclaggio. Questo perché c’è una
norma del Testo Unico delle imposte sui redditi [1] secondo
cui i bonifici o i versamenti sul conto corrente, se non giustificati o
giustificabili, si presumono essere reddito e, quindi, vanno tassati. Il regalo
di un familiare che non può essere dimostrato, la vincita al bingo o la giocata
alle scommesse potrebbero insomma costarti un accertamento fiscale se non hai
una convincente difesa da opporre all’Agenzia delle Entrate.
A questo
punto, ti chiederai se esiste anche un limite al prelievo di contanti
dal conto corrente. Anche in questo caso la risposta deve fare i conti da un
lato con la normativa sulla tracciabilità dei pagamenti e, dall’altro, con
quella fiscale. Ma procediamo con ordine.PUBBLICITÀ
Si
possono prelevare dal conto più di tremila euro?
Avrai di
certo sentito dire che la legge [2] vieta i trasferimenti
di contanti per cifre pari o superiori a 3mila euro. Questa norma,
però, non si applica né ai prelievi, né ai versamenti in banca visto che, in
questo caso, la proprietà del denaro resta sempre in capo allo stesso soggetto
(il correntista), essendo l’istituto di credito un mero depositario e custode.
Detto ciò,
quindi, non si rischia la famigerata multa
per l’uso del contante che va da 3mila a 50mila euro, né tantomeno si
rischiano sanzioni penali.
In teoria,
quindi, puoi anche estinguere il conto corrente e chiedere di ottenere i tuoi
risparmi in contanti. L’unico limite al prelievo scatta per importi
superiori a 12.500 euro: in questo caso, vi è il divieto di trasferire
somme di denaro senza un intermediario abilitato (come la
banca), il che è richiesto dalla normativa sull’antiriciclaggio.
Ma
attenzione: con una recente modifica alle norme è stata prevista una
segnalazione obbligatoria alla Uif (l’Unità di informazione finanziaria) da
parte delle banche per tutti i
prelievi superiori a 10mila euro nell’arco dello stesso mese. E ciò
vale anche se si tratta di prelievi frazionati in più operazioni di importo
inferiore (ad esempio 10 prelievi da mille euro). La segnalazione viene fatta
non per una questione fiscale ma per un controllo sulle attività illecite. Non
finisce quindi all’Agenzia delle Entrate, ma potrebbe approdare alla Procura
della Repubblica. Si tratta, è bene chiarirlo subito, di « controlli» e non di
«divieti», siamo fuori dal perimetro delle segnalazioni per operazioni sospette
(Sos) ma comunque, secondo la Gdf e la Direzione investigativa antimafia, in un
ambito che deve essere monitorato per incrociare informazioni su chi è troppo
appassionato al contante, «strumento anonimo e non tracciabile».
L’obbligo,
già introdotto nel 2017 con le modifiche al decreto antiriciclaggio (Dlgs
231/2007), è stato meglio dettagliato dal Provvedimento dell’Uif del 28 marzo
scorso. Le comunicazioni oggettive non sono controlli fiscali né di polizia ma
servono, in ultima analisi, a “raffinare” le segnalazioni di operazioni sospette,
inviate oggi a decine di migliaia ma spesso solo per evitare rischi
all’intermediario più che per intercettare operazioni realmente a rischio
riciclaggio/terrorismo.
C’è poi un
ulteriore limite: una volta in possesso dei contanti, non potrai
spenderli o trasferirli a un’altra persona se si tratta di importi pari o
superiori a 3mila euro. Potrai conservarli a casa o utilizzarli per i tuoi
acquisti solo per spese più ridotte.
Devi sapere
che per effetto della Legge di Bilancio 2020, sarà modificata la normativa
sull’antiriciclaggio per quanto riguarda il limite del contante. Dal 1° luglio
2020 fino al 31 dicembre 2021, si abbassa il tetto all’uso di contanti a
1.999,99 euro. Non si potranno fare in contanti né pagamenti, né prestiti, né
donazioni a partire da 2.000 euro in su, ma bisognerà optare per strumenti
tracciabili (bonifici, assegni, carte di debito e carte di credito). Dal 1°
gennaio 2022, il tetto si abbassa ulteriormente a 1.000 euro.
Se sei un imprenditore e il conto è
intestato alla tua azienda devi stare molto attento. La legge, infatti, fissa
un doppio limite: se, nel fare il prelievo di contanti dal conto corrente,
superi il tetto di mille euro al giorno o di 5mila euro al mese, devi
conservare i documenti per dimostrare al fisco il beneficiario del pagamento.
La richiesta di chiarimenti da parte della banca
Se il prelievo di contanti dal tuo conto è
consistente – ad esempio supera cinquemila euro – lo sportellista potrebbe
chiederti chiarimenti sull’uso che intendi fare di tale denaro. Lo farà non per
denunciarti all’Agenzia delle Entrate, ma in ottemperanza alla normativa
sull’antiriciclaggio. Nel caso in cui l’operazione dovesse risultargli
sospetta, dovrà segnalarti alla direzione della banca. Quest’ultima valuterà se
mandare gli atti alla Uif (Unità di informazione finanziaria) che, a sua volta,
potrebbe (nei casi più gravi) segnalare l’episodio alla Procura della
Repubblica per le indagini. Insomma, l’eventualità è remota e, soprattutto,
confinata ai casi più torbidi.
I
controlli fiscali in caso di prelievi di contanti dal conto corrente
Diverse e
molto più stringenti sono le regole sui controlli fiscali in caso di
prelievi di contanti dal conto corrente bancario. Ancora una volta qui
dobbiamo distinguere tra contribuenti disoccupati, pensionati o che svolgono un
lavoro dipendente e quelli che, invece, sono titolari di una partita
Iva e svolgono attività imprenditoriale.
Per i
primi non sono previsti controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate sui
prelievi in banca. Il che significa che se dovessi prendere dal conto 5mila
euro in contanti e spenderli in una sola giornata, nessuno potrà dirti nulla.
Attento però a non comprare beni di lusso come auto o case se non hai un
reddito che può supportare tali spese. In queste ipotesi, infatti, incorreresti
sicuramente in un accertamento
fiscale tramite redditometro. Tale accertamento scatta tutte le volte in
cui mantieni un tenore di vita superiore alle tue possibilità. Per evitare
sanzioni fiscali, sarà meglio che, piuttosto di spendere il contante, utilizzi
i bonifici bancari. In quel caso, avrai la prova che il denaro utilizzato non
deriva da evasione, ma era già “tracciato” in banca.
Invece per
gli imprenditori, vige una regola diversa: il denaro prelevato
dalla banca, se non giustificato, si presume utilizzato per investimenti e,
quindi, viene tassato. In buona sostanza, se hai un conto corrente intestato
alla tua azienda devi conservare un documento con data certa che attesta
l’utilizzo che hai fatto dei soldi (ad esempio il pagamento di un risarcimento
a una persona che hai investito con la bicicletta); altrimenti l’Agenzia delle
Entrate potrà presumere magari che hai comprato merce per venderla senza emettere
fattura o altre attività rivolte all’evasione
fiscale.
Chiudiamo il
cerchio con i professionisti, categoria “di mezzo” che ha dato più
volte problemi interpretativi. Dopo un intervento della Corte Costituzionale
del 2014, anche la Cassazione ha ritenuto che medici, avvocati, ingegneri,
commercialisti, ecc. dovessero essere equiparati ai “comuni” contribuenti: non
essendo soggetti a una contabilità separata, i prelievi dal conto corrente non
sarebbero quindi sottoposti a controlli fiscali. Questo
orientamento, però, di recente, è stato sconfessato da una sentenza [3],
sempre a firma della Cassazione.
Secondo
questo orientamento – che tuttavia è rimasto isolato – i professionisti
sarebbero equiparabili agli imprenditori: quindi, l’Agenzia delle Entrate può
presumere che dietro i prelievi di contanti, se l’utilizzo del denaro non viene
giustificato, vi sia un’evasione. Il che è assurdo: verrebbe così imposto a
tutti i professionisti di tenere un conto dedicato all’attività lavorativa,
distinto da quello personale con il quale fare la spesa al supermercato. Ma la
legge non prevede questo onere. Maggiori informazioni sull’argomento
nell’articolo I
controlli del fisco sul conto corrente di professionisti e autonomi.
Per gli attuali possessori
di Pin il passaggio allo Spid avverrà comunque in maniera graduale. Chi ha già
le credenziali potrà continuare ad usarle per una fase transitoria
SPID: identità digitale
gratuita per sempre
Tutti i gestori delle
identità digitali SPID forniranno anche in futuro gratuitamente le credenziali
per l'identità digitale, di livello 1 e 2.
A partire da domani
l’Inps non rilascerà più il Pin, ossia il codice numerico, come
credenziale di accesso ai servizi dell’istituto. Il Pin sarà sostituito
da Spid, il
Sistema pubblico di identità digitale che permette di accedere ai servizi
online della pubblica amministrazione
Per gli attuali possessori
di Pin il passaggio allo Spid avverrà gradualmente secondo le
istruzioni fornite con la circolare Inps 17 luglio 2020, n. 87, che prevede
una fase transitoria che si concluderà con la definitiva cessazione della
validità dei Pin rilasciati dall’Istituto.
Spid, a cosa serve e come
funziona
Lo Spid, spiega l’Inps,
consente agli utenti di interagire con l’Istituto, con l’intero sistema
pubblico e con i soggetti privati aderenti. In base al Regolamento eIDAS,
l’identità digitale Spid (con credenziali di livello 2 o 3) può
essere usata per l’accesso ai servizi in rete delle Pubbliche Amministrazioni
dell’Unione europea.
Grazie ai vari
livelli di autenticazione dello Spid, l’Inps potrà abilitare nuovi servizi
che richiedono una maggiore affidabilità nella fase di riconoscimento
dell’utente. I Pin in possesso degli utenti conserveranno la loro validità e
potranno essere rinnovati alla naturale scadenza fino alla conclusione
della fase transitoria la cui data verrà successivamente definita.
Che fine fa il Pin
temporaneo
Il passaggio da Pin a Spid
non ha effetti sul servizio di Pin temporaneo. Gli utenti che accedono ai
servizi Inps attraverso le credenziali Spid, Cns (Carta Nazionale dei Servizi)
o Cie (Carta d’Identità Elettronica) potranno, infatti, continuare a richiedere
il Pin telefonico temporaneo utile per la fruizione dei servizi tramite Contact
Center. Attraverso la funzionalità “Pin Telefonico” presente su MyInps è possibile scegliere di generare un Pin
temporaneo la cui validità può essere di un giorno, una settimana, un mese o
tre mesi.
Chi potrà ancora usare il
Pin dispositivo
Il Pin dispositivo sarà
mantenuto per gli utenti che non possono avere accesso alle credenziali Spid,
come:
i minori di diciotto anni;
le persone che non hanno documenti di
identità italiana;
le persone soggette a tutela, curatela o
amministrazione di sostegno, e per i soli servizi loro dedicati.
Tutti gli altri utenti
dovranno pertanto dotarsi di credenziali di autenticazione alternative al Pin.
Inps, le alternative al Pin
L’Inps ricorda che gli
strumenti di autenticazione elettronica attualmente utilizzabili in alternativa
al Pin per accedere ai servizi offerti sul portale Inps sono:
Per richiedere e ottenere le
credenziali Spid bisogna essere maggiorenni, spiega l’Inps, e per
chi è residente in Italia:
un indirizzo email;
il numero di telefono del cellulare
usato normalmente;
un documento di identità valido (uno
tra: carta di identità, passaporto, patente)*;
tessera sanitaria con il codice
fiscale*.
Per i residenti all’estero
servono:
un indirizzo email;
il numero di telefono del cellulare che
usi normalmente;
un documento di identità italiano valido
(uno tra: carta di identità, passaporto, patente)*;
il codice fiscale;
il tesserino della tessera sanitaria o
del codice fiscale costituiscono ulteriori elementi a supporto del
processo di verifica dell’identità che concorrono a contrastare, grazie
alla verifica dell’autenticità degli stessi su basi dati nazionali non
pubbliche, il furto di identità.
* Durante la registrazione
può esser necessario fotografarli e allegarli al form da compilare.
Spid, cosa bisogna fare per
ottenerlo
Per ottenere lo Spid occorre
scegliere uno tra gli Identity provider e registrarsi sul loro sito.
La registrazione consiste in 3 step:
inserisci i dati anagrafici;
crea le tue credenziali Spid;
effettua il riconoscimento.
I tempi di rilascio
dell’identità digitale dipendono dai singoli Identity Provider.
Come scegliere tra i diversi
Identity provider
Gli Identity Provider
forniscono diverse modalità di registrazione gratuitamente o a pagamento e i
rispettivi Spid hanno diversi livelli di sicurezza. La lista degli
Identity Provider fornisce un quadro della situazione.
In particolare l’Inps
consiglia di fare attenzione ai seguenti parametri:
scegli la modalità di riconoscimento che
ti risulta più comoda (di persona, tramite Carta d’Identità Elettronica
(Cie)*, Carta Nazionale dei Servizi (Cns), Firma Digitale o tramite
webcam);
scegli sulla base del livello di
sicurezza di Spid che ti serve;
se sei già cliente di uno degli Identity
Provider, potresti avere un flusso di registrazione semplificato;
se sei un cittadino italiano residente
all’estero, fai attenzione a chi offre il servizio per l’estero.
* Sono accettate solo le
Carte d’Identità Elettroniche 3.0, ovvero quelle che non hanno la banda ottica
sul retro della tessera in plastica.