Una delega generica e troppo ampia. Ci sono le condizioni perché non se ne faccia nulla.
E’ forse il caso di dire che l’ennesima riforma delle pensioni proceda tra mezze bugie e mezze verità. In questi ultimi giorni e ore è toccato a un’ipotesi di riforma, si è comunemente detto, delle pensioni di reversibilità. Cosa ci sarebbe di falso e cosa invece di vero? Cerchiamo allora di fare almeno un po’ di chiarezza, lasciando che sia il governo, eventualmente, ad assumersi poi l’onere di una concreta iniziativa al riguardo.
La discussione parte dal testo di disegno di legge delega (DDL) approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta dello scorso 28 gennaio. Il testo, formato di 1 articolo e 9 commi, contiene una “delega al Governo per il contrasto alla povertà, il riordino delle prestazioni e il sistema degli interventi e dei servizi sociali”. Al fine di adottare le misure consequenziali – e in particolare “una misura nazionale di contrasto alla povertà, individuata come livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale” di cui è detto all’art. 1, co. 1 lett. a) -, l’art. 1 co. 1, lett. b) prevede “la razionalizzazione delle prestazioni di natura assistenziale, nonché di altre prestazioni anche di natura previdenziale, sottoposte alla prova dei mezzi, inclusi gli interventi rivolti a beneficiari residenti all’estero sentito il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, fatta eccezione per le prestazioni legate alla condizione di disabilità e invalidità del beneficiario”.
Da una lettura del testo, ne deriva immediatamente che:
Limitatamente a quanto qui indicato in termini di obiettivi, il testo del DDL all’art. 1 co. 3 lett. a) fissa anche i relativi “principi e criteri direttivi” a cui il governo deve attenersi. Ovvero, realizzare la “razionalizzazione delle prestazioni di cui al comma 1 lettera b), superando differenze categoriali e introducendo in via generale principi di universalismo selettivo nell’accesso, secondo criteri unificati di valutazione della condizione economica in base all’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), eventualmente adeguati alla specifica natura di talune prestazioni”. Il ché, in ipotesi, equivale sostanzialmente a dire che:
E’ forse il caso di dire che l’ennesima riforma delle pensioni proceda tra mezze bugie e mezze verità. In questi ultimi giorni e ore è toccato a un’ipotesi di riforma, si è comunemente detto, delle pensioni di reversibilità. Cosa ci sarebbe di falso e cosa invece di vero? Cerchiamo allora di fare almeno un po’ di chiarezza, lasciando che sia il governo, eventualmente, ad assumersi poi l’onere di una concreta iniziativa al riguardo.
La discussione parte dal testo di disegno di legge delega (DDL) approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta dello scorso 28 gennaio. Il testo, formato di 1 articolo e 9 commi, contiene una “delega al Governo per il contrasto alla povertà, il riordino delle prestazioni e il sistema degli interventi e dei servizi sociali”. Al fine di adottare le misure consequenziali – e in particolare “una misura nazionale di contrasto alla povertà, individuata come livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale” di cui è detto all’art. 1, co. 1 lett. a) -, l’art. 1 co. 1, lett. b) prevede “la razionalizzazione delle prestazioni di natura assistenziale, nonché di altre prestazioni anche di natura previdenziale, sottoposte alla prova dei mezzi, inclusi gli interventi rivolti a beneficiari residenti all’estero sentito il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, fatta eccezione per le prestazioni legate alla condizione di disabilità e invalidità del beneficiario”.
Da una lettura del testo, ne deriva immediatamente che:
- i)alcuna ipotesi specifica è presente in merito alla categoria delle “pensioni di reversibilità”, anche se forse sarebbe il caso di discutere, in ipotesi, piuttosto di “pensioni ai superstiti”; precisando che se alla prima categoria appartengono soltanto le pensioni spettanti al titolare deceduto dopo l’attività di servizio, l’attuale sistema di calcolo delle prestazioni è tuttavia comune sia alle “pensioni di reversibilità” che alle “pensioni indirette” di cui sono destinatari i superstiti del titolare del rapporto previdenziale viceversa deceduto in attività di servizio.
- ii)l’opera di “razionalizzazione” e quindi di revisione riguarderebbe invece, in ipotesi, generiche prestazioni di natura assistenziale e altre prestazioni anche di natura previdenziale, fatta eccezione per le prestazioni legate alla condizione di disabilità e invalidità del beneficiario. Rispetto alle categorie di prestazioni, generiche nel testo, il bilancio dell’INPS distingue viceversa tra le seguenti specifiche prestazioni: a) pensioni d’invalidità di vecchiaia e ai superstiti: finanziate dalla contribuzione a carico del datore di lavoro e del lavoratore b) pensioni assistenziali, d’invalidità civile assegni sociali vitalizi particolari categorie di pensioni ante 1989: finanziate dalla fiscalità generale c) ammortizzatori sociali, cassa integrazione guadagni indennità di disoccupazione e di mobilità: finanziate per il 40,5% dai contributi di lavoro e per il restante 59,5% dal finanziamento dello stato d) prestazioni per la famiglia e per il lavoro di cura, maternità e assegni nucleo familiare, finanziate in pratica dallo stato e) prestazioni assistenziali e creditizie in favore dei dipendenti dello stato, finanziate da un contributo di lavoro o pensione specifico a carico degli stessi.
Limitatamente a quanto qui indicato in termini di obiettivi, il testo del DDL all’art. 1 co. 3 lett. a) fissa anche i relativi “principi e criteri direttivi” a cui il governo deve attenersi. Ovvero, realizzare la “razionalizzazione delle prestazioni di cui al comma 1 lettera b), superando differenze categoriali e introducendo in via generale principi di universalismo selettivo nell’accesso, secondo criteri unificati di valutazione della condizione economica in base all’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), eventualmente adeguati alla specifica natura di talune prestazioni”. Il ché, in ipotesi, equivale sostanzialmente a dire che:
- iv)sarebbero superate le distinzioni categoriali delle prestazioni, che viceversa per il tramite del bilancio INPS abbiamo definite specifiche, e che tuttavia tali sono proprio in virtù di una diversa fonte di provenienza del corrispettivo finanziamento. Pertanto, l’operazione del “superamento” appare quanto meno impropria o incoerente.
- v)le condizioni reddituali dei beneficiari (ISEE) potrebbero risultare tali da precludere perfino “l’accesso” a determinate prestazioni in base a “principi di universalismo eventualmente adeguati alla specifica natura di talune (di esse)”.
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