Indice di rivalutazione delle pensioni 2017 pari a zero, niente conguaglio e assegni uguali a quelli 2016: rischio di un -0,1% per il recupero dell'inflazione 2014-2015.
Le pensioni 2017 non si rivalutano, anzi rischiano di subire una
decurtazione per il recupero dell’inflazione 2014-2015: vediamo la
situazione, partendo dagli indici di rivalutazione 2016 e 2017, entrambi
pari a zero, definiti da decreto del ministero dell’Economia. Si tratta del
provvedimento con cui ogni anno viene stabilito in che modo si rivalutano le
pensioni, è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 novembre.
In base al decreto ministeriale, sia la percentuale di rivalutazione per il
ricalcolo 2015-2016 sia quella 2016-2017 sono pari a zero. Le stime dell’anno
scorso erano anch’esse pari a zero e il risultato è che sul fronte della
rivalutazione rispetto all’inflazione non ci sarà alcun conguaglio da
fare per la pensione 2017.
Il meccanismo, come è noto, è il seguente: ogni anni il ministero
dell’Economia stabilisce, per decreto, in base all’andamento dell’inflazione,
l’indice di rivalutazione delle pensioni per l’anno in corso e quello stimato
per l’anno successivo. Le pensioni vengono erogate in base all’indice stimato
per l’anno in corso, se poi l’indice definito è diverso, si effettua il
conguaglio l’anno successivo.
C’è però da recuperare uno 0,1% sul 2014, che la Legge di
Stabilità 2016 aveva congelato rinviandolo, appunto al 2017. In pratica,
l’inflazione reale 2015, pari allo 0,2%, era stata più bassa di quella prevista
(e applicata alle pensioni 2015), pari allo 0,3%.
Quindi, nel 2016, i pensionati avrebbero dovuto “restituire” lo 0,1% in più
che avevano ricevuto nel 2015 sulla base di un’inflazione stimata più alta di
quella reale. La manovra economica dello scorso anno (legge 208/2015, comma
288), aveva però fatto slittare di un anno questo recupero,
confidando che l’inflazione reale 2016 sarebbe stata più alta di quella
programmata (come detto pari a 0), consentendo quindi di ammortizzare il
conguaglio senza provocare una decurtazione degli assegni.
Il fatto è che invece anche quest’anno si ripropone lo stesso problema:
come detto, l’inflazione reale e quella stimata coincidono, e sono pari a zero,
quindi non prevede che si debba nè recuperare né aggiungere nulla. A meno che
non intervengano nuove proroghe, bisogna però applicare il taglio dello 0,1%
che era slittato l’anno scorso.
Ricordiamo che un problema analogo si era posto in relazione alla
perequazione dei montanti contributivi, ed è stato risolto rinviando al
primo anno di saldo non negativo un eventuale necessità di conguaglio negativo.
Spieghiamo bene: questo coefficiente si calcola, con cadenza annuale, sulla
base dell’andamento del PIL degli ultimi cinque anni, e si applica al montante
contributivo. Nel 2015, per la prima volta in assoluto, è successo che il
coefficiente sia stato negativo, a causa della lunga crisi economica.
Il decreto pensioni è però intervenuto a tamponare la situazione,
stabilendo che, nel caso in cui il ciclo economico provochi un taglio delle
pensioni, si assuma artificialmente un indice di perequazione pari a 1. La
legge prevede anche che successivamente si debbano recuperare le somme,
escludendo però il biennio 2015-2016. In questo modo, per il biennio 2015-2016
non è stato applicata la decurtazione, che altrimenti sarebbe stata necessaria.
Nel caso in cui si verifichi nuovamente una variazione negativa, si applica
artificialmente il coefficiente pari a 1, e poi si procede al recupero
nelle successive annualità, quando il coefficiente torna positivo.
Fonte: decreto ministeriale
Costituzionale (30.01.18)
RispondiEliminaLA CORTE COSTITUZIONALE ADESSO SMENTISCE LA SUA SENTENZA SUL BLOCCO DELLA PEREQUAZIONE
Pochi giorni fa, con la sentenza n. 12 del 30 gennaio 2018 (si veda nella Sezione “Documenti” di questo sito in data 22.02.18).
la Corte Costituzionale è di nuovo tornata sui suoi passi, questa volta dichiarando INCOSTITUZIONALE una legge retroattiva di interpretazione autentica che voleva far vincere all’INPS una causa che aveva già perso. La Corte questa volta ha detto che, secondo la Corte di Strasburgo, questo viola l’art. 6 della CEDU. Ma perché questa volta la Corte ha dato torto all’INPS? Perché stavolta costava poco. Infatti, si legge in questa sentenza che “È però da rilevare che i costi del contenzioso […], pari a circa 45 milioni di euro […] non risultano tali da incidere in modo significativo sulla sostenibilità del sistema previdenziale e sugli equilibri della finanza pubblica”. CAPITO? Se da un lato questa vittoria è motivo di soddisfazione, resta la rabbia per questi ondeggiamenti della Corte che nulla hanno a che fare con il diritto, ma solo con la ragion di stato. Confidiamo a maggior ragione nella Corte di Strasburgo