
Siamo tutti un po’ più
fragili oggi, non solo i nonni e le nonne di 80 anni, anche i giovani di venti
e gli adulti di 40 possono e debbono sentire sulle spalle una fragilità che
deve fare da molla per arrivare a nuove forme di solidità, di sicurezza, di
forza.
FABRIZIO BINACCHI | 8
MARZO 2020
Questa buriana sanitaria e
sociale, che speriamo finisca il prima possibile, ha messo in luce alcuni
comportamenti singolari tipo le resse ai supermercati e la caccia a
gel-mascherine e ha indotto molti ad usare espressioni verbali perlomeno
sbrigative, in qualche caso auto confortanti o assolutorie e comunque
sgradevoli, che si possono riassumere nella frase simbolo “Sì, ma dai,
era anziano”. Ovviamente censurabile.
E in molti casi si
aggiungeva l’espressione “con patologie pregresse” o in altri casi “con
una situazione di salute compromessa”. C’è di che riflettere. Bisogna
ragionare.
C’è un linguaggio tecnico
scientifico per cui i sanitari e i virologi possono ricorrere comprensibilmente
ad espressioni appunto tecniche sulle patologie e sull’età biologica e
poi c’è un linguaggio corrente, quello della gente che si parla per scambiarsi
informazioni ed emozioni che giustamente, con una riflessione un po’ più
approfondita, rigetta certi stereotipi, certi luoghi comuni, sociali ed
umani.
Un anziano o una anziana
morti con il coronavirus (e non per il virus) sono il nonno e la nonna,
il papà e la mamma, lo zio e la zia di persone e rimangono loro stessi sempre
persone, anche nell’emergenza sanitaria. Non un codice, non un
protocollo, non un numero.
“Mio papà era mio papà”.
Così ha ricordato, in una toccante e commovente intervista, la figlia della
prima vittima del padovano ormai due settimane fa e sembra quasi un anno. “Mio
papà era una persona meravigliosa e non solo un numero, non può essere ricordato
come un numero. Mio papà sorrideva, giocava a carte, andava al bar e faceva
tutto quello che fanno i nonni di quell’età.
Guardano crescere i figli,
commentano il cantiere di lavoro in fondo alla piazza, aiutano gli amici e i
bisognosi, poi un bel o meglio un brutto giorno arriva un virus, chissà da
dove, che prende di mira quei polmoni e magari aggrava una condizione di salute
non ottimale, già minata.
E così molti di noi, per un
po’ di giorni, pur con il nobile scopo di rassicurare, abbiamo fatto ricorso
alla espressione “si ma era anziano” per giustificare una morte nel tempo
del coronavirus. Scoperto che non era bello e non era rispettoso per i nonni e
nemmeno per i nipoti si è preferito ricorrere alla più innocua e asettica,
almeno anagraficamente, espressione di “fragile”.
C’è da apprezzare lo sforzo.
Sociologi e antropologi, analisti economici e anche bravi colleghi di
conosciuta firma hanno scritto pezzi e racconti sulla fragilità e sul rispetto
della fragilità. Gli anziani nelle case di riposo, i nonni che vanno al
cup con la mascherina, le nonne che si proteggono con la sciarpa mentre entrani
in una bottega sono sicuramente espressione di una fragilità manifesta.
Ma è anche vero che è
difficile trovare immagini di solidità in giro in questo momento. La nostra
stessa vita sociale quella così bella e così colorata degli aperitivi e delle
cene, degli stadi piani e delle manifestazioni di piazza, quella dei congressi
e delle feste è stata ed è tuttora messa alla giusta prova del contenimento necessario,
del distanziamento obbligatorio di almeno un metro, della sospensione di
attività che contemplavano aggregazioni di tante persone.
Per questo siamo tutti un
po’ più fragili oggi, non solo i nonni e le nonne di 80 anni, anche i giovani
di venti e gli adulti di 40 possono e debbono sentire sulle spalle una
fragilità che deve fare da molla per arrivare a nuove forme di solidità,
di sicurezza, di forza.
Ogni crisi, anche quella
sanitaria più dura, contiene in sé un duplice significato: quello indubbio e
della difficoltà e del dolore, della paura e della prova ma anche quello della
opportunità. Opportunità per cambiare qualcosa, per rilanciare un aspetto di
vita che si pensava inesistente o non importante, opportunità per stabilire
nuovi comportamenti, nuovi atteggiamenti, nuovi orizzonti.
Nel concreto si pensi agli
aspetti del telelavoro e degli spostamenti nel traffico più o meno costretti:
per anni contemplavamo l’arrivo dell’epoca in cui si spostassero le idee e
non le persone e nella sua drammaticità questa emergenza ce lo sta imponendo.
Con le tecnologie più adeguate, al momento. La grande forza spesso
nasce dalla fragilità. Grazie ai nonni e alle nonne. Che forse, nella loro
fragilità, sono più forti degli altri.
Fabrizio Binacchi
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