venerdì 24 luglio 2015

Ubi maior, Majorino cessat. I Hate -Verso Comunali Milano 2016... | e-participation ed eventi a Milano e sua area metropolitana: cittadini e amministratori assieme per una citta' partecipata

Ubi maior Majorino cessat. Questa sembra essere la regola interna alla sinistra. Lo diciamo subito: questo non è un articolo. Questa è una supplica, indirizzata a chi di dovere. Non saremmo in grado di sopportare il ritorno di Pierpennino... I HATE MILANO
Venerdì, 24 luglio 2015 - 07:54:00
Ubi maior Majorino cessat. Questa sembra essere la regola interna alla sinistra. Lo diciamo subito: questo non e' un articolo. Questa e' una supplica, indirizzata a chi di dovere. Basata su fatti concreti che partono da lontano. Dopo una vita da mediano della politica locale, l'attuale candidato alle primarie Pierfrancesco Majorino comincia a creare scompiglio 5 anni fa, alla vigilia della corsa a Palazzo Marino del 2011. Piermajo, insieme  all'allora segretario cittadino Cornelli, indica in Stefano Boeri il candidato ufficialmente appoggiato dal partito. Sembrerebbe una scelta logica: Boeri e' un nome apprezzato anche a destra - e in quel momento tutti hanno la fregola di trovare un nome che "possa aggregare e non dividere" -, ne sa parecchio di urbanistica (e con Expo e il Pgt da rifare ciò' non guasta), ha ottimi contatti internazionali ed e' un apprezzato professionista. Certo, essendo molto noto nel suo settore, in passato ha collaborato con il Comune, allora guidato dal centrodestra. Ma diamine, pare dire il Majo, non abbiamo detto che bisogna andare oltre certi steccati, che dobbiamo includere, che un certo antiberlusconismo di maniera alla sinistra ha fatto più' danni che altro? Questa ricetta, che pochi anni dopo sara' la chiave del successo di Renzi, per la Milano che ha nel bancone della pasticceria "Sissi" il proprio confessionale, risultera' indigesta. Boeri viene rigettato e bollato come "collaborazionista", e nelle chiacchiere dei ristoranti di tutta la zona 1 al Majo gliene dicono di tutti i colori. Il resto e' storia nota: le primarie, Pisapia, la rivoluzione arancione.

Quello che e' meno noto, o di cui si e' parlato molto meno, e' che Majorino, e con lui tutta la dirigenza Pd, il risultato di quelle primarie lo hanno accettato con una onesta' e un rigore che oggi, vedendo come altrove, nel Pd, sono andate le cose in occasione di altre elezioni primarie (Genova anyone?) appaiono molto meno scontati di come apparivano allora. Chissà', magari qualcuno dei più smaliziati uomini di partito con la foto di D'Alema sul comodino avrebbero potuto tentare un colpo alla Baffino, non un sabotaggio, ci mancherebbe, ma magari una mezza parolina in meno durante l'intervista, un'assenza in più' in tv, una polemichetta pilotata ad arte a pochi giorni dal voto. E invece niente: tutto liscio, tutti uniti fino alla chiusura dei seggi.
Ora: siamo uomini di mondo, e sappiamo che nella vita nessuno ti viene a dare pacche sulle spalle. Pero' nemmeno calci dell'asino, ovvero un po' quello che e' successo al Majo, poche settimane fa, su un libro di memorie. Ma andiamo avanti. Arrivano gli anni della maggioranza, anni contradditori - specie se paragonati a quelle che erano le attese. Pero' la crisi, i soldi che non ci sono, le difficoltà di una maggioranza nata con uno scenario politico di un certo tipo e atterrata in un mondo capovolto. Tutto vero. Pero' anche qui, se c'e' uno che e' sempre rimasto della stessa idea, quello e' stato proprio il Majo. Mentre gli altri piroettavano come la Bambola di Patty Pravo, un po' con Bersani, un po' duri e puri, un po' nascosti su un camper, per poi finire a braccetto con Renzi, Majorino ha sempre detto come la pensava. E ha pure sempre detto cosa pensava: quando gia' l'anno scorso il Majo protestava perche' riteneva l'assistenza da parte del governo sul tema dei migranti inadeguata, si leggevano fior di reprimende indirizzate all'assessore, come fosse colpevole di disturbare il manovratore. Ma quando poi e' esplosa l'emergenza, e i profughi hanno invaso la stazione Centrale, ecco che a quelle proteste si e' unito più' o meno chiunque. Di nuovo: niente pacche sulle spalle, ma un pensarci prima proprio no?
E siamo ai giorni nostri. Estate, fine luglio, cioè' quando gli esegeti della Rivoluzione Arancione celebrano ancora oggi l'adunata del Teatro Litta in cui Pisapia "lancio' la sfida". E in un articolo del 13 luglio, contenuto nel libro "Cambiare Milano si può", leggiamo "la politica e' quello che succede mentre si fanno altri progetti: mentre nel Pd si discute di primarie, un candidato esce allo scoperto in modo autonomo. (...) Pisapia tira dritto: "Mi sono mosso troppo presto? Ma se la Moratti e' in campagna da una vita!". Insomma, 5 anni fa, ai tempi del Miracolo, muoversi in luglio era una mossa fresca, coraggiosa, che sparigliava un quadro da sbadiglio. Oggi invece gli stessi cantori del dinamismo parlano di "rodeo", vivendo quasi con fastidio il fatto che alcuni, tra cui il Majo, abbiano già' dichiarato di voler correre. Ma non si era detto che anzi, più' siamo meglio e', e che e' proprio nelle primarie "aperte" che risiede la vera anima democratica piddina? Anche perche' il coro unanime e' "basta parlare di nomi, parliamo di contenuti!". Giusto! Pero' quando Majorino, pochi giorni fa, ha sostenuto che lo stadio del Milan dovrebbe sorgere nell'area Expo e non in quella del Portello, di che si trattava? Di contenuti o di Mora Cinese? Bisogna proprio credere in Babbo Natale, o nel fatto che la De Cesaris si sia dimessa per un'area cani, per negare che quelli non siano tra i contenuti principali del dibattito pubblico milanese attuale. Pero' niente da fare: anche stavolta, se la sono presa col Majo.
Per questo, in noi e' sorto un grosso e doloroso dubbio. Che Pierfrancy ci rimanga male, si ritiri dalla corsa elettorale, e nella penombra della sua cantina tiri fuori dall'armadio il suo vecchio mantello, si sieda mesto al suo scrittoio e intinga di nuovo la penna nel calamaio. Insomma, che Majorino torni Pierpennino e - deluso dall'agone politico - si tuffi in una nuova avventura letteraria. Ci dispiace, ma noi non saremmo in grado di sopportarlo: a distanza di tanto tempo, siamo ancora provati dalla lettura del suo romanzo "Togliendo il dolore dagli occhi" (i nostri, dopo averlo completato). Pertanto, chiediamo alla segreteria milanese, o addirittura a quella nazionale, di cambiare atteggiamento, e darsi da fare, fin da subito, affinché nella psiche di Piermajo non comincino ad annidarsi di nuovo sinistre ambizioni letterarie.
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