Nello studio
dell'Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell'Università Cattolica appena
pubblicato un'analisi dei pro e contro. E una soluzione per cambiarla
Come spesso accade nel
Belpaese, si torna a parlare di imposta sulle successioni e sulle donazioni.
Un’ultima interessante riflessione, e relativa proposta di patrimoniale, arriva
da uno studio appena pubblicato dall’Osservatorio sui Conti Pubblici
Italiani dell’Università Cattolica guidato da Carlo Cottarelli, a
firma Edoardo Frattola e Giampaolo Galli, dal titolo “Pro e contro
dell’imposta su successioni e donazioni”.
Italia generosa con i
contribuenti
L’imposta sulle successioni
e sulle donazioni italiana è piuttosto “generosa” rispetto a
quella di altri Paesi europei perché ha aliquote più basse e non
progressive, e franchigie più elevate. Non solo: nel determinare a quanto
ammonta il trasferimento, il valore degli immobili viene calcolato non secondo
il loro valore di mercato, ma in base al loro valore catastale.
In
attesa di una riforma del catasto sempre annunciata ma mai
attuata, nonostante le raccomandazioni delle istituzioni europee, il valore
catastale attuale rimane significativamente inferiore al valore di mercato,
riducendo quindi anche il valore complessivo dell’asse ereditario o della
donazione a cui applicare l’imposta di successione.
Quanto incassa lo Stato
Il risultato? Il gettito
dell’imposta è piuttosto modesto. Secondo i dati dell’OCSE, il gettito
derivante dall’imposta sulle successioni e sulle donazioni italiana è stato
pari a soli 820 milioni nel 2018, ovvero lo 0,05% del Pil (e
lo 0,11 delle entrate totali). Una cifra lontana da quanto incassato negli
altri principali Paesi europei.
In Francia, per
esempio, nel 2018 il gettito dell’imposta su successioni e donazioni è stato
pari a 14,3 miliardi di euro, cioè lo 0,61% del Pil: in altre parole,
quasi tredici volte quello italiano. A quota 0,20-0,25% del Pil troviamo invece
la Germania (6,8 miliardi), il Regno Unito (5,9 miliardi al cambio del
2018) e la Spagna (2,7 miliardi), tutti Paesi che riescono a
incassare quasi cinque volte l’Italia.
Quanto incassano gli altri
Paesi Ue
Questo anche grazie a una
struttura dell’imposta diversa da quella della ISD italiana: tutti e quattro i
Paesi hanno infatti aliquote molto più elevate rispetto a quelle in
vigore in Italia, anche superiori al 50% come in Francia per esempio, e
franchigie significativamente più basse.
I due autori dello studio
portano anche un esempio concreto: consideriamo un’eredità del
valore netto di 1 milione di euro lasciata da un genitore al proprio figlio:
quante imposte dovrebbero essere pagate su questo trasferimento? In Italia la
franchigia di 1 milione è sufficiente a evitare completamente l’imposizione, mentre
negli altri Paesi non è così: in Spagna l’imposta ammonterebbe a circa 335mila
euro, in Francia a 270mila, nel Regno Unito a 245mila e in Germania a 115mila.
I dati OCSE mostrano per
l’Italia un gettito di circa 1 miliardo di euro nel 2000-2001, che si è poi
progressivamente azzerato tra il 2002 e il 2006 ed è infine risalito a 820
milioni nel 2018 (qui avevamo fatto una panoramica dei Paesi
in cui si vive meglio perché le tasse sono più basse, soprattutto per i
pensionati).
I pro di un aumento della
tassa di successione
Esistono argomentazioni a
favore e contro un suo rafforzamento: da un lato l’imposta può essere uno
strumento di equità sociale ed è meno distorsiva delle imposte sui redditi,
dall’altro è difficile evitare che essa finisca per colpire soprattutto le
proprietà immobiliari del ceto medio.
Da un lato, ci sono diverse
considerazioni a sostegno di un aumento dell’imposizione sulle grandi eredità:
al di là dell’aspetto morale, un aumento può essere visto come un tentativo di
limitare una eccessiva concentrazione di ricchezza nelle mani di poche famiglie
e di favorire quindi una maggiore uguaglianza sociale.
Inoltre, ricevere risorse ingenti
potrebbe scoraggiare l’impegno dell’erede in attività lavorativa a tal punto da
legittimare un prelievo adeguato sui trasferimenti di ricchezza più
significativi.
I contro di un aumento della
tassa di successione
Dall’altro, si sostiene che
un’imposta di successione molto elevata ridurrebbe gli incentivi ad
accumulare ricchezza poiché una quota maggiore di questa ricchezza
finirebbe allo Stato invece che ai propri figli e nipoti, e avrebbe quindi un
effetto negativo sui tassi di risparmio e sull’offerta di lavoro, soprattutto
negli ultimi anni prima della pensione.
In secondo luogo, potrebbe
incoraggiare uno spostamento di capitali all’estero, verso Paesi
con una tassazione della ricchezza più bassa.
La proposta
Una proposta ragionevole
potrebbe essere quella di mantenere franchigie sufficientemente elevate,
in modo tale da evitare che la tassazione ricada prevalentemente sulle
proprietà immobiliari del ceto medio, ma al tempo stesso aumentare le
aliquote e la loro progressività sui trasferimenti più grandi: ciò
potrebbe verosimilmente consentire di incassare di più e rafforzare il
carattere redistributivo di questa imposta.
Inoltre, per far sì che
l’imposta di successione non venga percepita come una “tassa sulle disgrazie”,
si potrebbero prevedere aliquote più basse o franchigie più elevate nel
caso di eredità ricevute da figli minorenni o comunque non autosufficienti,
come già avviene in Spagna e in Germania.
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